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“VIGINTO”, perché la storia di Vinchio è la storia del nostro Barbera

C’era o non c’era una volta - 7 lunghi milioni di anni fa - una distesa di fondali sabbiosi che si allungavano senza fine sotto il vasto oceano primordiale. Gli stessi fondali che, nel tempo, hanno visto piante e animali viventi trasformarsi in fossili; ripide scogliere, in ondeggianti vigneti; e le acque profonde, in venti senza dimora. E a metà strada tra un gasteropode e un calice di rosso, l’uomo, che fa la sua apparizione sulle terre emerse attorno al 5000 a.C.. Lo allude anche Tacito, quando parla della tribù dei Liguri, quel popolo primitivo che, oltre alla pastorizia e alla caccia, si dedicava anche alla coltivazione della vite - buongustai!
Tutta questa premessa per spiegare da dove proviene il nome “Viginto” che abbiamo scelto per il nostro Barbera d’Asti DOCG. Perché queste terre che tanto amiamo devono essere tributate, celebrate, raccontate.
Anche attraverso i suoi prodotti, lascito immortale della storia, testimonianza di un passato sempre presente. Viginti era il vocabolo con il quale i Romani identificavano l’attuale Vinchio e che facevano derivare dalle 20 miglia romane che lo separano dalla città di Alba. Il Barbera d’Asti “Viginto” è il nostro modo di non dimenticare: bere alla salute di chi ci ha preceduto e che qui ha posto la sua prima pietra. Ma c’è qualcun altro che, molto prima di noi - attorno al 935 d.C. - ha dato lustro al paese: Aleramo, conte di Acqui che, con ardore e coraggio, cacciò per sempre i Saraceni dal Monferrato, permettendo a Vinchio di diventare una potente terra di frontiera contesa da Asti e Alessandria, con tanto di consoli, proconsoli e signori, tali Vitalis de Viginti, Rogerius de Viginti ecc.
Dopo una breve occupazione del castello da parte dei guelfi Solaro (caduti poi in disgrazia dopo soli 15 anni di governo), il maniero passò poi al nobile ghibellino Antonio Scarampi. Fino a quando non ci mise lo zampino Carlo V di Spagna, e Vinchio e le terre attorno diventarono così feudi dell’immenso impero dove, si diceva, non tramontava mai il sole. Gli Asburgo e i Savoia fecero il resto. Incluso il celebre saccheggio del 1635 per mano del temuto e temibile bandito Stefano Re, al soldo del Duca Vittorio Amedeo, che depredò il paese, trucidando tutti coloro che osavano parteggiare per gli spagnoli. I francesi tornarono, puntuali come la morte, ogni anno, fino al 1658. “Ch’a sia Fransa o ch’a sia Spagna, a l’é sempr l’istesa bagna” (“che sia Francia o che sia Spagna, è sempre la stessa bagna”) dice un noto proverbio locale. All’appello, mancano solo più Napoleone - che nel 1806 aggregherà le terre di Asti a quelle di Alessandria - e Mussolini il quale, nel 1936, disegnerà sulla carta del Piemonte il famoso "grappolo d’uva", incastrato fra il cuneese e l’alessandrino, dando luogo all’odierna Provincia di Asti di cui la stessa Vinchio farà parte.
Dimenticavamo: durante la Seconda Guerra Mondiale, a Vinchio non si combatte ma si lotta. Per la liberazione, ovviamente, e per mano di un gruppo che fa capo alla VIII Divisione Garibaldi del comandante vinchiese "Ulisse": Davide Lajolo. La rimanente parte della storia è un racconto recente che forse - ci auguriamo - da qualcuno avrete sicuramente avuto l’onore di ascoltare. Storie di un dopoguerra di abbandoni, filossera e povertà. Ma anche storie di ritorni, rinascita e nuovi mondi da inventare. Non saremmo qui, altrimenti, a fare su e giù per i vigneti, mutando in vino la nostra fatica e in gioie i nostri sacrifici. Ecco cos’è per noi “Viginto”. Un’opportunità per ribadire chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti. “Viginto” è una strada da percorrere a testa alta, è il canto delle origini che sale oltre le pendici di queste amate alture. È il nostro “angelo della storia”, quello di Walter Benjamin, col viso rivolto al passato, ma inesorabilmente sospinto verso il futuro. “Viginto” siamo noi.

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